California dreamin’?
Ad oggi 70 morti accertati, più di 1000 dispersi, 250000 evacuati, un intero paese (Paradise!) distrutto. I venti del diavolo o di S.Ana soffiano con violenza (oltre 100 km/ora) e l’aria secca non ha più di 3-5% di umidità, in un contesto di vegetazione naturalmente esposta al fuoco (chapparal) ma modificata dai giardini di enormi e ricchi insediamenti intorno a Los Angeles, con un carico di combustibile (leggi: vegetazione disponibile alla combustione) enorme.
Il tutto preceduto da 4 anni di siccità continua – legata al ciclo oceanico del Nino- e proliferazione di parassiti forestali che hanno portato alla morte migliaia di ettari nelle foreste californiane.
La California già dall’anno scorso ha deciso di invertire l’investimento del suo bilancio aumentando gli oneri della prevenzione rispetto a quelli dell’estinzione (https://e360.yale.edu/features/fighting-fire-with-fire-california-turns-to-prescribed-burning?fbclid=IwAR2vL7uOQo-Ib73ZqoDB4NQqPsgq1wt1tlZLw_U8HGQaYpGky39RC9QO0AI). Ma i costi federali continuano ad aumentare. Il Presidente Trump sembra non accorgersene negando il cambiamento climatico e accusando di “cattiva” gestione forestale lo stato della California. Il che è vero in parte, dato che siamo in presenza di foreste vissute nel senso del “paradosso di Bambi” (http://www.edizionimaestrale.com/IT/Products/230/Dalla-parte-del-fuoco), ma la ricetta che propone l’Amministrazione Trump pare sia solo quella di tagliare gli alberi, non di applicare tecniche selvicolturali per rendere i boschi più resilienti ed adattati al cambiamento climatico, come suggerisce invece il prof. Stephen Pyne, storico del fuoco all’Università dell’Arizone nel suo ultimo articolo (https://slate.com/technology/2018/11/california-woolsey-camp-fire-trump-forest-management.html?fbclid=IwAR0rZHoXRUuzSdcsL_ST7JBq-lnhskIdZfFLfTjxXQx8QAXN2zDKC0Y7UxM).
Sognamo ancora la California? O siamo troppo lontani per vedere sulle nostre terre situazioni analoghe? Il Mediterraneo ci ha già dato recentemente segnali preoccupanti (Portogallo, Pedrogao Grande e Leiria, 2017; Grecia, Mati (Atene), 2018; Calci, Pisa, 2018) ma la Sardegna ha già pagato abbondantemente il suo tributo negli anni tra il 1983 e il 1989 (Curraggia, Palau-Portisco) con decine di morti. Dal 1945 al 2015 ben 74 sono stati i morti durante incendi (doi: 10.1590/01047760201723022266: Cardil-Delogu-Molina,”Fatalities in wildland fires from 1945 to 2015 in Sardinia”, Cerne, 2017).
Il cambio climatico e la persistente situazione di abbandono della montagna a delle campagne “urbanizzate” stanno radicalmente cambiando la struttura dei combustibili vegetali che da “verde cornice” del benessere dentro la natura diventano una vera a propria trappola per i residenti. La percezione del rischio nelle comunità che vivono in questi luoghi si evidenzia sempre e solo durante le emergenze estive, mentre le amministrazioni da un anno all’altro credono che le loro responsabilità siano limitate all’applicazione di ordinanze contigibili ed urgenti o alle prescrizioni antincendio regionali che sono nate e sono state pensate per categorie di incendi delle vecchie generazioni, ma oggi manifestano grandi limiti.
Credo che sia urgente ed assolutamente necessario iniziare a pensare alla pianificazione del rischio non più dentro e solo in termini di “pronto soccorso” come fanno nella migliore delle ipotesi i Piani di Protezione Civile comunali in applicazione delle linee guida nazionali, ma soprattutto nel dimensionamento dei piani a scala di paesaggio (macroscala), di condominio (mesoscala) fino a quelli di microscala (ciascuna casa). Definire caso per caso l’esistenza di punti critici da gestire in modo attivo per eliminare la fonte del rischio e trasformare le “zone rosse” in zone verdi prive di pericoli, oltrechè pretendere delle pratiche di “preparadness”, formazione continua, addestramento, autoprotezione dei cittadini al controllo del panico (la maggior parte dei morti continua ad aversi durante la fuga).
La prossima estate, per lo scenario italiano e sardo, non sarà così prodiga di piogge come il 2018, data la natura infedele delle precipitazioni nel Mediterraneo; ci saranno senz’altro situazioni critiche e di estrema disponibilità della vegetazione all’incendio forestale, che avrà effetti con le aree di interfaccia urbano-foresta. Cosa dobbiamo attendere per modificare tutto il sistema di “Protezione” per farlo diventare “Prevenzione Civile”?