Ignizione: come nasce un incendio.
Il processo di combustione ha inizio quando una sorgente termica esterna interessa per un determinato tempo il combustibile e rilascia una sufficiente potenza termica. La sorgente riscalda il combustibile fino al valore della sua temperatura d’ignizione (è la minima temperatura alla quale, in presenza di innesco, la miscela combustibile-comburente inizia localmente a bruciare).
L’energia termica necessaria al raggiungimento della temperatura d’ignizione in un combustile solido è fortemente influenzata dalla sua pezzatura (rapporto tra massa e superficie esposta all’aria del combustibile) in quanto, a piccoli valori di pezzatura, a causa dell’elevata superficie con la quale il combustibile viene a contatto con il comburente, sono associate basse quantità di energia termica in grado di produrre l’innesco del combustibile; inoltre, anche l’umidità contenuta nel combustibile ne rallenta l’ignizione poiché l’energia termica rilasciata dalla sorgente esterna dovrà, prima di innalzare la temperatura del combustibile, provocare l’evaporazione dell’acqua in esso contenuta (il calore latente di vaporizzazione dell’acqua a pressione atmosferica è di circa 2,256 MJ/kg).
Per rendere più chiare le precedenti affermazioni, si pensi alla facilità con la quale mediante un fiammifero si può bruciare un foglio di carta, mentre è impossibile infiammare una risma di carta o un tronco di legno in quanto, in entrambi i casi, gli oggetti combustibili hanno una massa elevata in rapporto alla superficie esposta e, pur avendo la sorgente d’innesco una temperatura più elevata di quella di ignizione, necessitano di una maggiore energia termica per mantenere stabilmente la combustione sulla loro superficie (in sostanza, la massa dei due combustibili non riesce a raggiungere la temperatura di ignizione).
Quando una sostanza solida viene sufficientemente riscaldata, si produce la rottura delle molecole ad alto peso molecolare per formare composti a basso peso molecolare ed essa tende parzialmente a vaporizzare liberando vapori combustibili, denominati prodotti di pirolisi (al contrario, i liquidi vaporizzano completamente e bruciano con la sola forma di combustione con produzione di fiamma), che reagiscono con l’ossigeno formando una miscela infiammabile e poi generando energia termica e producendo nella maggior parte dei casi una fiamma, che si forma nella zona immediatamente soprastante la superficie del combustibile, che a sua volta alimenta ancora la combustione e, pertanto, la loro ulteriore formazione (quindi, affinchè la combustione avvenga, il combustibile ed il comburente, nel momento in cui si verifica la reazione devono trovarsi allo stato gassoso); lo studio di tale fenomeno è importante in quanto la presenza di una fiamma comporta un incremento repentino della quantità dei prodotti da combustione che vengono rilasciati nell’ambiente e, conseguentemente, a causa della loro nocività, può essere compromessa la sicurezza delle persone.
Gli elementi che caratterizzano l’infiammabilità di una sostanza solida combustibile, sono principalmente rappresentati dalla tendenza a rilasciare prodotti di pirolisi in quantità sufficiente perché si incendino e dalla velocità di propagazione della fiamma lungo la superficie della sostanza.
Se si indica con Lv l’energia termica necessaria per produrre la pirolisi di 1 kg di combustibile (quindi, i materiali che hanno elevati valori di Lv avranno difficoltà a rilasciare prodotti di pirolisi e, quindi, ad infiammarsi; in genere, il valore di Lv aumenta passando dai combustibili liquidi a quelli solidi) e con H il suo potere calorifico, entrambi espressi in kJ/kg, si rileva che quanto maggiore è il rapporto H/Lv e tanto più velocemente il combustibile brucerà, produrrà fiamme di elevata altezza e rilascerà energia termica nell’ambiente (è proprio per tale motivo che, generalmente, un liquido infiammabile risulta più pericoloso di un solido combustibile; ad esempio per il nylon il rapporto H/Lv è pari a 13,1 mentre per l’eptano vale 92,8).
Si ritiene opportuno indicare che le sostanze chimiche che sono applicate sui materiali combustibili con lo scopo di rallentare la loro partecipazione alla propagazione dell’incendio hanno, appunto, l’effetto di diminuire il valore di H e/o aumentare quello di Lv.
Non appena una zona della superficie del combustibile raggiunge la sua temperatura Tig di ignizione ( tale circostanza dipende anche dall’orientamento del combustibile, dalle sue dimensioni, ecc.) e la combustione si avvia, affinché essa possa procedere in modo continuo, è necessario che la fiamma che si genera deve autosostenersi e questo è possibile solo se presente una sorgente di calore esterna che può innescare i prodotti di pirolisi, oppure se la stessa fiamma è in grado di trasmettere alla superficie immediatamente adiacente del combustibile un valore di energia termica sufficiente a produrre con continuità un’adeguata quantità di vapori combustibili.
Più precisamente, tale processo si verifica allorché in una zona della superficie del combustibile viene raggiunta una temperatura minima, denominata di fire point, alla quale corrisponde un flusso massico sufficiente di prodotti di pirolisi che consente la persistenza della fiamma sulla superficie (la temperatura di fire point ha un valore leggermente maggiore della temperatura di ignizione; tuttavia, nel seguito non sarà considerata tale lieve distinzione e si parlerà solo di temperatura di ignizione); pertanto, in tale circostanza, per permettere al processo di combustione di continuare stabilmente nel tempo, il seguente bilancio termico deve condurre ad un valore di flusso termico q, espresso in kW/mq, che dovrà risultare positivo:
Nella quale, f indica la frazione del flusso termico creato dalla stessa fiamma che si origina dalla combustione dei prodotti di pirolisi e che viene reirradiata sulla superficie del combustibile (essa assume generalmente valori di circa 0,20-0,30), qe rappresenta il flusso termico, supposto costante, prodotto dalla sorgente termica che agisce sul combustibile e qd quello da esso disperso per convezione ed irraggiamento, entrambi espressi in kW/mq, mentre mcr indica il flusso di massa critico dei prodotti di pirolisi che si liberano dalla superficie del combustibile in kg/(m2*s); si ribadisce che, subito dopo l’ignizione, il processo di combustione potrà continuare ed estendersi a tutto il materiale solo se, nella zona adiacente a quella che per prima è bruciata, il predetto flusso termico netto q disponibile è positivo ed è, quindi, in grado di causare l’aumento della temperatura della superficie del combustibile (in caso contrario, si verifica l’estinzione della fiamma), con conseguente incremento della produzione dei prodotti di pirolisi e potenziamento della fiamma.
Per eseguire appropriate valutazioni del rischio incendio è utile conoscere quando un combustibile sottoposto all’azione di un flusso termico, in presenza di una piccola fiamma che innesca i prodotti di pirolisi senza lambire la sua superficie (innesco pilotato che deve essere posto nella zona dove si creano i prodotti di pirolisi e, quindi, a distanza minore di 2 cm dalla superficie del combustibile), inizierà a bruciare; al riguardo, bisognerà stimare dopo quanto tempo la temperatura in una zona della superficie del combustibile aumenterà fino a raggiungere quella Tig di ignizione.
In tale processo di propagazione del calore all’interno del materiale rivestono un ruolo importante lo spessore del combustibile ( un materiale viene definito di spessore termicamente sottile se al suo interno durante la fase di riscaldamento la temperatura è uniforme e, in pratica, ciò si ottiene per spessori s inferiori a circa 1 mm; per spessori maggiori si creano all’interno dei gradienti di temperatura ed esso viene considerato termicamente spesso) e il flusso termico radiante qn netto (è la differenza tra il flusso termico incidente sul materiale che è generato dalla sorgente di calore esterna e quello che esso disperde nell’ambiente) che interessa l’oggetto combustibile; occorre notare che se il flusso termico radiante netto non supera un determinato valore qc critico il processo di pirolisi non si verifica (in tale situazione, pertanto, la sostanza, anche dopo un tempo relativamente lungo di esposizione, non emette sufficienti vapori combustibili e non può avere quindi la possibilità di infiammarsi).