Poca acqua e maggiore assorbimento di calore
Tra le varie ed interessanti discussioni che nascono nel gruppo VVF Incendio ed Antincendio Ritorno alla base abbiamo il piacere di sottolineare quella tra il funzionario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco Gianmario Gnecchi e il già capo reparto del corpo dei vigili del fuoco di Trento Valentino Graiff. Inutile ribadire che si tratta di due “addetti ai lavori” sempre in trincea, con un’attenzione particolare all’innovazione nel settore antincendio.
E’ proprio Gnecchi che rilancia in merito ad un’applicazione più scientifica e misurata dell’acqua, partendo dall’obiettivo primario per cui essa viene utilizzata negli incendi: assorbire il calore.
Da alcuni anni, ogni tanto, mi ritornano in mente alcuni discorsi fatti anche con Valentino Graiff sull’uso delle idropulitrici, (si proprio le idropulitrici a pressione – o cose simili), insomma poca acqua e molto assorbimento di calore per gli incendi in edifici civili: incendio tetto, incendio all’interno degli appartamenti. Qual è lo “stato dell’arte” al riguardo?
(G. Gnecchi)
Il principio su cui si basa l’affermazione di Gnecchi è quello di considerare l’ottimizzazione dell’assorbimento dato dalle singole gocce d’acqua. Chiamato in causa, Graiff risponde con un ripasso generale delle attrezzature già in dotazione agli operatori e sulla necessità di fornire in sito grandi portate d’acqua, pur potendole eventualmente ridurre in caso di necessità.
Al riguardo si potrebbe dire che non servirebbe molto per diversificare le attrezzature da intervento, sono anni che ne parliamo, e si sta andando in quella direzione, ma non condivido il concetto di dotarsi, come si sta facendo, di moduli con questo sistema, troppo piccoli per noi professionisti.
Facciamo una piccola riesamina: dopo anni si è arrivati a dotare le APS di una uscita in AP da 38 mm, quindi sono state distribuite le relative manichette che in pochissimi utilizzano: è un vero peccato perché si potrebbe operare con tutta la portata in Alta Pressione.
Altro aspetto: sulla stessa uscita possiamo operare con manichette da 25 mm oppure naspi da 19/13/10 mm con pressioni di 30/40 bar utilizzando le lance che già ci sono sul mercato e senza spendere grosse cifre. Lascia perplessi vedere sempre più moduli piccoli inviati anche in prima battuta su incendi civili, perché ci si limita in tutto.
E’ opportuno avere dei mezzi allestiti con un moduletto ad altissima pressione ma portate irrisorie, come pure la tubazione? Per i vigili del fuoco servono moduli con almeno 90/100 LT di portata a 40 bar, poi a ridurre ci pensa l’operatore, mentre se hai poco in partenza non puoi aumentare nulla.
(V. Graiff)
Il concetto che esprime Gnecchi, però, non è sbagliato. Per favorire il confort dell’operatore propone di rilanciare la pressione non dall’APS, ma dal sistema in prossimità dell’operatore stesso, proprio come fa l’idropulitrice.
Penso ai casi in cui si debba velocemente passare dalla messa sotto controllo iniziale (dove servono capacità più “robuste”) al controllo di dettaglio (dove serve efficacia ma meno portata). E un qualcosa tipo idropulitrice che fornisce energia all’acqua proprio un attimo prima della sua uscita dalla “lancia” è quello che risulterebbe più vicino allo scopo, ovvero riuscire a portare “comodamente” in giro per lo scenario poca acqua con grande capacità di assorbimento di energia.
Forse potremmo ribattezzare questa modalità come una specie di rilancio energetico a valle del sistema che mettiamo in funzione (grande a piacere). Ovviamente insisto un po’ nel “banalizzare” la “vision” ma vedrei bene uno studio sull’impiego delle “idropulitrici” (magari spallabili a batteria) che di fatto potremmo chiamare (uso un termine fantasioso…”pompe di rilancio e rienergizzazione”).
(G. Gnecchi)

Ovviamente, ripeto, limitatamente a quei casi da “chirurghi antincendio” dove il rischio di danno d’acqua può prendere il sopravvento sul rischio incendio in sé e quindi il tema dominante è “usare meno acqua possibile” con la maggiore efficacia possibile.
Le idropulitrici che tutti abbiamo a casa (uso sempre questo termine banalissimo) semplicemente prendono la “poca” acqua che arriva con semplici manichette o addirittura “tubi dell’acqua da giardino” (scusa la banalizzazione ma spero che serva per seguirmi in questo ragionamento) e forniscono all’acqua – “nell’ultimo metro” – energia per creare un effetto “nebulizzante” che probabilmente è – quanto meno – confrontabile con altri sistemi nei quali l’energia viene fornita “a monte”, pressurizzando tutta la linea.
Forse potremmo dire che invece di tenere il “gruppo energia” (il corpo pompa sul mezzo, ben più grande) a piano strada, lo portiamo (ben più piccolo) a piano tetto (vd. figura). Penso che vista così la cosa possa mostrare indubbi vantaggi.
Ripeto che non sono certo il primo che inserisce nei “discorsi evolutivi” questi elementi ma mi piacerebbe appunto approfondire lo stato dell’arte.
(G. Gnecchi)
Effettivamente, il compromesso si può trovare adeguando il caricamento e lavorando sulla conoscenza degli operatori, come ribadito da Graiff.
Si può operare con i naspi da 10 mm con attacchi da mezza collegati al divisore in AP, puoi sostituire gli ugelli ed operando con 30/40 atm lavori dai 10 LT Min in su ma con pressione, quindi hai distanza a getto pieno o frazionato come vuoi senza problemi.
Invece se vuoi solo spallabili allora è altra cosa, ma se ho un mezzo non mi serve altro.
(V. Graiff)