Uso scientifico dell’acqua nelle fasi di spegnimento
Riportiamo di seguito la traduzione dell’articolo “The science of Water Extinguishment” di John McDonough, pubblicato su Firehouse.com e tradotto da Max Conti.
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JOHN MCDONOUGH
L’ESTINZIONE CON ACQUA
Riguardo ad un efficiente Search and Rescue (Ricerca e soccorso), la capacità di spegnere un fuoco è considerata come un riferimento fra i pompieri che sono valutati sia da se stessi che da loro pari. Ma come possiamo giudicare se un pompiere è stato tanto efficiente quanto avrebbe potuto esserlo durante il processo di spegnimento, date le circostanze e l’equipaggiamento a disposizione? Se un pompiere figurasse di operare deficitariamente in un sinistro, è giusto dire che è stato insufficientemente addestrato oppure che ha fatto del suo meglio date le circostanze con cui si è confrontato?
Vi sono casi in cui gli incendi si abbattono assai rapidamente con ciò che sembra un sorprendentemente basso quantitativo d’acqua. Alcuni pompieri sono in grado di fare cose notevoli con un semplice estintore idrico oppure con una condotta a basso flusso e a bassa pressione, mentre altre volte sono ricacciati fuori da un edificio nonostante abbiano sparso grandi volumi d’acqua. Appare perciò ovvio che che c’è più che il solo volume per l’estinzione.
L’acqua è un formidabile agente di spegnimento, tuttavia noi dobbiamo utilizzarla nella giusta quantità, nella giusta modalità e nel giusto luogo se vogliamo che essa sia realmente efficiente. Esser efficienti con l’acqua vuol dire che possiamo utilizzare condotte più piccole e più manovrabili, compensando i limiti della squadra. Condotte più piccole possono esser mosse con maggior rapidità per gettar acqua più velocemente per una maggior sicurezza. Nell’ambito dei nostri incendi moderni, il tempo di applicare l’acqua sull’incendio diventa uno dei nostri principali fattori di successo. Usare meno acqua vuol anche dire che il rifornimento idrico può durare più a lungo – un equivalente fattore critico in numerose aree.
Dando per assunto di gettare acqua nella giusta modalità e nel posto giusto, la domanda-chiave allora diventa: di quanta acqua abbiam bisogno per spegnere una certa quantità di fuoco? E qui dobbiamo rivolgerci alla scienza per alcune risposte discriminanti.
Per semplificare il processo e aiutarci a concettualizzare quanto accade quando l’acqua viene applicata, è spesso utile utilizzare una scala dimensionale minore e concentrarsi su quanto accade ad un livello di base. Così andiamo a vedere che cosa accade ad una singola gocciolina d’acqua quando essa lascia la lancia e viaggia attraverso i fumi roventi e le fiamme, oppure atterra su superfici calde o incendiate. Subito diventerà chiaro quanto incredibilmente efficiente può esser l’acqua come agente estinguente – se usata con competenza. Al contrario, vedremo come altrettanto incredibilmente può essere inutile se non comprendiamo i processi che si verificano.
Ci sono anche alcuni principi fisici di base che si verificano e che aiutano a spiegare come l’acqua spenga il fuoco. Detto brevemente, i gas fluiranno sempre da aree di maggior pressione verso aree di minor pressione, e l’energia del calore fluirà sempre da oggetti a temperatura maggiore (più caldi) verso quelli a temperatura minore (più freddi), finché non sarà raggiunto uno stato di equilibrio. Questo “flusso” di energia è descritto dalla seconda legge della termodinamica. Altrettanto, la legge dei gas ideali così come il meccanismo del trasferimento di calore sono utili strumenti per comprendere come l’acqua spenga il fuoco.
PARLIAMO DI CALORE
Un fuoco produce calore (energia) ed il rateo di rilascio del calore (heat release rate – HRR) è una misura dell’intensità del fuoco. Il calore si misura in joules (J). 1.000 J sono un kilojoule (KJ) e 1.000 KJ sono un megajoule (MJ). Un joule al secondo corrisponde ad un watt (W).
I fuochi rilasciano calore nel tempo, così è più utile misurare l’energia proveniente da un fuoco in watt oppure, come nel nostro caso di incendi di edifici, in MW (che vuol dire MJ per secondo o MJ/s). Per dirla semplicemente, per lo spegnimento il calore che viene rilasciato deve esser trasferito all’agente estinguente (nel nostro caso, l’acqua). Conseguentemente il rateo di applicazione dell’acqua deve eguagliare (e preferibilmente superare) il rateo di rilascio del calore.
Per farsi un’idea di quanto questi termini rappresentino, possiamo immaginare una piccola camera da letto. Il rateo di rilascio di calore (HRR) necessario per portare un locale di tale taglia al pieno coinvolgimento con il flashover è generalmente assunto che sia all’incirca 2 MW. Fornendo sufficiente ventilazione, tale HRR potrebbe esser prodotto da una semplice poltrona imbottita incendiata. E’ superfluo far notare che qualsiasi stanza che possiamo trovare in una normale abitazione ha abbastanza combustibile da raggiungere il pieno coinvolgimento, con nessuna possibilità di sopravvivenza per i residenti così come per i pompieri.
L’ACQUA SI RISCALDA
Diamo per assunto che, appena una gocciolina d’acqua avente una temperatura iniziale di 10°C lasci la lancia, essa viaggi per lo spazio dei gas caldi dell’incendio, che sono approssimativamente a 600°C. Ciò rappresenta una temperatura in cui i gas dell’incendio (composti da prodotti di pirolisi e residui non combusti) si stanno avvicinando alla loro temperatura di auto-ignizione e diventeranno combustibile per una rapido progresso del fuoco. I pompieri che si muovano attraverso o stiano operando nei pressi di tali gas senza raffreddarli corrono un grave rischio. Anche con i moderni DPI, il solo calore radiante limiterà molto la vostra capacità di restare in quest’area per molto. Questo è un ambiente da quale i pompieri devono immediatamente togliersi oppure metterlo sotto controllo aggressivamente (mediante raffreddamento).
Il calore si muoverà dalla temperatura maggiore (fumi) alla temperatura minore (gocciolina d’acqua) e la temperatura dell’acqua salirà in un istante fino a 100°C. L’energia necessaria per far innalzare la temperatura di 1 kilogrammo (Kg) di acqua di 1°C è nota come calore specifico dell’acqua. L’acqua ha un calore specifico più alto rispetto alle comuni sostanze, e questo è uno dei motivi per cui essa è un così efficace agente estinguente. Pensate a quanta energia è richiesta per scaldare un litro d’acqua fino al punto di ebollizione quando mettete sul fuoco una pentola. Talvolta sembra che dovrete aspettare per sempre per la vostra prima tazza di caffè del mattino.
Per innalzare la temperatura di un Kg di acqua di 1°C, è richiesta l’energia di 4.186 J (o, approssimando, 4,2 KJ) [NOTA: questo è lo stesso concetto del BTU – British thermal unit, che è l’energia richiesta per innalzare un’oncia d’acqua di 1° Fahrenheit].
Un altro importante aspetto del trasferimento di calore che deve esser considerato è il rapporto fra la superficie e la massa. Aumentando la superficie della nostra acqua, noi ne esponiamo di più al calore, e l’assorbimento è quindi più rapido. Molte migliaia di singole goccioline d’acqua scagliate contro i fumi caldi assorbiranno molta più energia e molto più prontamente di quanto possa fare un getto compatto che penetri dritto, con soltanto l’acqua del suo profilo esterno esposta al calore.
Goccioline più piccole hanno invece una più ampia superficie rispetto alla massa, che vuol dire che ogni singola goccia ha maggior superficie per assorbire il calore radiante, avendo poi minor volume (massa) da scaldare. Questi due fattori concorrono a far sì che piccole goccioline d’acqua si riscaldino più in fretta. Per comprendere che gli oggetti piccoli si riscaldano più rapidamente, possiamo vedere lo stesso concetto applicato al focolaio d’incendio iniziale. Piccoli pezzi di legno (ramaglie) sono usati come combustibile iniziale al posto di quelli grandi, poiché essi hanno maggior area superficiale per assorbire il calore e meno legno da scaldare fino alla loro temperatura d’ignizione.
L’ACQUA DIVENTA VAPORE
Così in una frazione di secondo, la nostra gocciolina d’acqua è stata scaldata a 100° C. Benchè i fumi caldi siano stati raffreddati di un corrispondente grado, essi sono ancora molto più caldi di 100° C, così il traferimento di calore dai fumi alla gocciolina continua, ed in un’altra frazione di secondo essa diventa vapore a 100° C.
Questo è il momento in cui noi abbiamo il massimo assorbimento di energia, quando l’acqua cambia di stato diventando vapore (aeriforme). E’ richiesta un’enorme quantità di energia per cambiare lo stato della materia. L’energia necessaria per trasformare l’acqua (liquida) in vapore (aeriforme) è conosciuta come calore latente di vaporizzazione.
Per cambiare 1 Kg di acqua in vapore sono richiesti 2.260 KJ di energia (termica).
IL VAPORE SI RISCALDA
Quando il vapore è disperso tra i fumi, altra energia sarà trasferita dai fumi caldi, poiché essi sono ancora più caldi di 100° C. Il risultato è un incremento della temperatura del vapore. Questo processo continuerà fino ad un equilibrio termico fra il vapore ed i fumi. L’assorbimento di energia da parte del vapore è noto come calore specifico del vapore.
Il vapore però ha un valore differente dal “calore specifico” dell’acqua. Tale valore dipende dalla temperatura del vapore stesso. Per semplificare i calcoli, si usa un valore medio di 300° C. Questo processo, come detto, prosegue fino all’equilibrio termico fra fumi e vapore.
Per innalzare la temperatura di un Kg di vapore di 1° C son richiesti 2.080 J (approx. 2,1 KJ)
SOMMIAMO IL TUTTO
Basandoci su 1 litro d’acqua con una temperatura di partenza di 10° C che termina in vapore ad una temperatura di 300° C avremo:
- Portare l’acqua della manichetta da 10° a 100° C (calore spec. dell’acqua) = 376,74 KJ [ =Q1]
- Trasformarla tutta in vapore a 100° C (calore latente dell’acqua) = 2.260 KJ [ =Q2]
- Portare tutto il vapore da 100° fino a 300° C (calore spec. del vapore) = 416 KJ [ =Q3]
Q = Q1 + Q2 + Q3 = 376,74 + 2260 + 416 = 3052,74 KJ = 3,05 MJ
Si noti che, mentre i due valori Q1 e Q3 sono comparabili, appare chiaro che la transizione da acqua a 100° C in vapore a 100° C assorbe molta più energia che non lo scaldare l’acqua fino al raggiungimento dei 100° C, vale a dire sei volte più energia è necessaria per trasformare l’acqua in vapore che non quella necessaria per scaldarla. In altre parole, se le vostre goccioline d’acqua non riescono a convertirsi in vapore, voi state sprecando oltre il 75% della capacità d’assorbimento del calore dell’acqua.
Si può osservare che l’influenza della temperatura di partenza è limitata. Per semplificare i nostri calcoli, potremo usare 3 MJ/Kg come valore di default per la quantità di energia che un litro d’acqua può assorbire. Realisticamente parlando, quando un servizio antincendi usa l’acqua, molto raramente arriverà ad ottenere un tale valore, e noi non saremo mai efficaci al 100%. Tuttavia noi dobbiamo anche comprendere che il meccanismo di spegnimento è decisamente complesso e vi sono compresi molti più processi di quanto fino ad ora descritto.
SPOSTAMENTO E INERTIZZAZIONE
I calcoli precedentemente descritti si limitano al solo assorbimento di energia. Quando però noi introduciamo un volume di vapore nei fumi caldi (o nel fuoco), vi sono ulteriori processi che anch’essi contribuiscono all’estinzione. La maggior parte dei pompieri dovrebbe sapere che l’acqua incrementa grandemente il suo volume quando si trasforma in vapore. La maggior parte ritiene che tale espansione sia di 1700 volte a 100° C, ma pochi sanno che tale espansione s’incrementa con la temperatura. In realtà, il rateo di espansione a 600° C arriva a 3.980 volte.
Questo volume di vapore causa che si verifichino due cose: spostamento d’aria attraverso il compartimento e inertizzazione dei fumi. Il vapore è un “gas” inerte (non è un gas ma ai fini del ragionamento lo si considera come se lo fosse). Questo è un fattore importante nell’estinzione dell’incendio. Quando il vapore viene aggiunto ad una miscela di gas, il range di infiammabilità di questa si riduce. Ad un certo punto, la miscela non sarà più infiammabile e perciò resa inerte. Per quanto l’inertizzazione dipenda dalla composizione del combustibile e dalla temperatura, introducendo approssimativamente un 45% di vapore nell’insieme, la combustione è improbabile che continui.
E’ davvero importante comprendere che il vapore acqueo contribuisce grandemente agli effetti dell’estinzione. Noi utilizziamo ciò quando mettiamo in pratica un attacco di transizione. Lo scopo con questa forma di applicazione dell’acqua è di produrre abbastanza vapore all’interno dell’area per assorbire il massimo dell’energia dal fuoco mentre rendiamo inerte l’area, rendendo impossibile al fuoco di continuare a bruciare. Questo tipo di attacco fu pionieristicamente introdotto dal Capo Americano Lloyd Layman nei primi anni ’50.
Un attacco indiretto è in grado di estinguere fuochi con un HRR (rateo di rilascio del calore) che sia più alto dell’ammontare del calore che può esser assorbito dalla sola capacità di assorbimento del flusso d’acqua. Durante un attacco indiretto, i due effetti (raffreddamento e inertizzazione/diluizione) giocano entrambi un ruolo decisivo.
Per contro, un attacco diretto è limitato dall’energia che può esser assorbita dalla superficie che viene raffreddata. Se noi andiamo a riprendere il nostro precedente esempio della stanza pienamente coinvolta, solo la parte esterna del getto (d’acqua) è a contatto con le fiamme che riempiono la stanza, mentre stanno bruciando nella fase gassosa. In tale forma, vi è un’insufficiente superficie per avere una rapida evaporazione, e come risultato la maggior parte dell’acqua penetrerà attraverso le fiamme rimanendo allo stato liquido.
Per quanto possa essere vantaggioso in alcune circostanze, soltanto l’acqua che realmente cade sulle superfici incendiate cambierà stato e assorbirà il massimo dell’energia. Tutta l’acqua sul pavimento, ancora in una forma liquida non-vaporizzata, è essenzialmente sprecata, avendo usato al massimo meno di un quarto della sua potenzialità di raffreddamento. Infine, sarà necessaria più acqua per estinguere lo stesso fuoco, e così l’estinzione sarà limitata al tempo che prende il distribuire l’acqua a tutte le superfici e raffreddarle al di sotto della temperatura di autoaccensione. In molti casi questo non è un problema, ma in alcuni ciò può fare la differenza fra il prendere il controllo oppure no, soprattutto se la sede del focolaio è in qualche modo schermata.
Ciò vuol dire che un efficace attacco indiretto dovrebbe esser sempre esser seguito da un attacco diretto per assicurarsi che le superfici incendiate siano sufficientemente raffreddate e saturate per prevenire la reignizione. Similmente, un attacco diretto è la miglior tecnica per un fuoco in via di sviluppo in un stadio iniziale (oppure per separare blocchi di combustibile incendiati) quando il fuoco è sostanzialmente limitato alle superfici del materiale combustibile.
INFLUENZA DELLE DIMENSIONI DELLE GOCCIOLINE
La dimensione delle goccioline è un importante parametro. Se le goccioline sono molto piccole esse evaporeranno troppo presto dopo aver lasciato la lancia e solo il volume di fumi più prossimo al lancista verrà raffreddato. Se le goccioline saranno troppo grandi, esse attraverseranno il fumo senza evaporare completamente. Alcune potranno raggiungere il soffitto ed evaporeranno qui, assorbendo calore da sopra. Un’altra possibilità è che esse ricadano sul pavimento: in tal caso esse attraverseranno il volume dei fumi una seconda volta. Il valore che si suggerisce esser la taglia ideale per le goccioline è 0,3 mm. Goccioline di questa dimensione dovrebbero esser sufficientemente grandi da garantire la penetrazione nei fumi pur essendo sufficientemente piccole da vaporizzare prontamente.
Una lancia combinata è necessaria per produrre goccioline efficaci, e la loro dimensione è determinata da numerosi fattori, inclusi la portata e la pressione. In via generale, un incremento della portata vorrà dire gocce più grandi, così come una riduzione della pressione, tuttavia molto dipende dal tipo di lancia. La taglia delle goccioline è meno critica nell’estinzione del fuoco quando il contatto con la superficie incendiate beneficino di una produzione di calore localizzata o per il raffreddamento della superficie. Al contrario, quando si fa raffreddamento dei fumi, la miglior pratica (best practice) richiede che noi dovremmo tentare di piazzare le goccioline esclusivamente dentro ai fumi per ottenere il massimo assorbimento di calore. Per questo scopo le gocce più grandi prodotte da alte portate oppure da passe pressioni non sono le più adatte. Per raffreddare i fumi, portate comprese fra 100 e 230 litri al minuto a 700 kPa (= 7 bar) sono normalmente usate per massimizzarne l’effetto. Al raggiungimento del focolaio, il lancista può decidere di incrementare la portata durante l’estinzione in proporzione all’intensità del fuoco sprigionato.
SPEGNERE UNA CAMERA IN FIAMME
L’acqua può esser usata per spegnere il fuoco oppure per raffreddare i fumi caldi sulla strada del focolaio. Sebbene l’obiettivo in entrambi i casi sia assorbire energia, la tecnica d’applicazione differisce considerevolmente per quanto concerne il dove l’acqua venga piazzata e quanto vapore venga prodotto. Nell’esempio che segue, noi andremo a vedere l’estinzione di una stanza pienamente coinvolta, dove il pompiere attacca il focolaio dall’esterno della stanza in fiamme, in questo caso dal corridoio. Da tale posizione, il pompiere è protetto dagli effetti del vapore, con la stanza stessa che non consente la sopravvivenza di alcuna persona ivi intrappolata a causa del pieno coinvolgimento del fuoco. All’interno della stanza noi troviamo una misto di combustione fiammeggiante e di fumi incombusti e per entrambi gli effetti sono gli stessi quando noi andiamo ad applicare le nostre goccioline d’acqua.
Immaginiamo che sia un salotto pienamente arredato con le seguenti dimensioni: 4 m x 5 m 2,5 m, o 50 m3. Gli arredi principali comprendono una poltrona singola ed un divano a due posti, entrambi imbottiti di schiuma sintetica, una grande libreria, un tavolino, TV, tappeto e tende. Fornendo una ventilazione naturale di una finestra e di una porta interna lasciata aperta, questo incendio è in grado di rilasciare nel suo pieno sviluppo approssimativamente 5 MW.
Quando noi usiamo i calcoli suddetti per stimare gli effetti di un attacco indiretto ad una stanza incendiata, i risultati seguenti si trovano quando un pompiere usa una lancia a bassa pressione con una portata di 230 lt/min. La portata in kg/s è calcolata come segue per esser usata nella nostra equazione:
230 lt/min = 3,83 lt/s = 3,83 kg/s (un litro d’acqua vale un kg)
= 3 MJ/kg x 3,83 Kg/s = 11,49 MJ/s = 11,49 MW
Qualora lavorassimo con un’efficienza del 100%, il seguente valore di vapore verrebbe prodotto, laddove 2,61 m3 è la quantità di vapor d’acqua prodotto a 300° C per litro d’acqua applicata:
produzione di vapore = 2,61 x 3,83 = 10 mc/s
Quando l’applicazione dell’acqua è efficiente al 100%, il volume di 50 m3 di vapore sarà generato in soli 5 secondi di applicazione dell’acqua. Ciò aiuterà nell’estinzione del focolaio poiché il vapore generato avrà spostato tutto l’ossigeno ed i fumi residui saranno inertizzati.
Questo esempio mostra che un flusso di 230 lt/min dovrebbe esser sufficiente per una rapida soppressione di almeno 11 MW d’incendio, basandosi soltanto sull’assorbimento d’energia. Però ciò richiede un’elevatissima percentuale d’efficienza che, per diverse ragioni, non può esser possibile. Non c’è bisogno di sottolineare che in un caso simile, pompieri che operino con un’efficienza limitata al 50% dovrebbero comunque ottenere un rapido spegnimento.
ESSERE EFFICIENTI CON L’ACQUA
In realtà l’efficienza dei pompieri sarà raramente, o forse mai, il 100%. Valori più bassi del 50% e persino del 25% sono decisamente più probabili. Tuttavia va detto che pompieri poco efficaci possono avere una caduta verticale di capacità d’estinzione. Minori efficacie sono causate dall’acqua che fluisce via prima di esser convertita in vapore. La creazione di vapore è dove la maggior parte dell’energia viene assorbita e la conseguente presenza di vapore diluisce ed inertizza la miscela infiammabile dei fumi – una combinazione estremamente efficiente di spegnimento.
Se noi possiamo identificare una perdita d’efficienza, possiamo cercare di giocarcela con questo aspetto in diversi modi. Uno è provvedere maggior addestramento nello sforzo di migliorare il livello di competenza dei pompieri applicando l’acqua in modo che la maggior parte sia nel “formato” giusto e applicata nel posto giusto. Qualcuno potrebbe obiettare che la soluzione più facile potrebbe esser quella di semplicemente applicare più acqua. Anche se in un minor grado di efficienza, un grande volume d’acqua potrebbe garantire che una quantità sufficiente colpisca il fuoco senza curarsi delle capacità del lancista. Anche omettendo i problemi connessi alla manovrabilità della lancia, agli eccessivi danni d’acqua, alla stanchezza del team ed al rifornimento idrico, c’è una parte di me che rifiuta ciò, se non altro per la semplice ragione che efficacia e competenze possono creare un più sicuro campo di lavoro, cosa che dovrebbe essere il nostro obiettivo in ogni nostro sforzo di servizio antincendi.
Molti incendi – a causa della dimensione, problemi di accesso o per il tipo di combustibile – richiederanno sempre significative quantità d’acqua laddove la nostra capacità di piazzare la nostra acqua dove dovrebbe esser più efficiente è limitata. Altri incendi, confinati all’interno di ambienti con limitati accessi d’aria, avranno bisogno di acqua per raffreddare in sicurezza i fumi caldi se noi avremo intenzione di entrare e portarci abbastanza vicino al focolaio per attaccarlo. In ogni caso, una buona conoscenza della teoria dell’estinzione dell’acqua potrà far molto per aiutare un vigile del fuoco a scegliere la tecnica più efficiente per sfruttare al meglio l’acqua che ha in dotazione.