Tecniche e metodi

Vigili del fuoco come tuareg

di Matteo Lombardi

Cosa accomuna i Tuareg ai Vigili del Fuoco? Entrambe devono difendersi da ambienti dove la temperatura arriva a raggiungere livelli molto elevati. Per risolvere questa problematica viene in aiuto ai Tuareg la composizione dei materiali tessili utilizzati: le fibre della lana infatti, notevolmente arricchite, trattengono molta aria, rendendo il tessuto notevolmente isolante e quindi realizzano un’efficace barriera contro il calore esterno mantenendo stabile quello corporeo; l’aria è il segreto, ad oggi uno dei più formidabili isolanti termici. Per comprendere meglio quanto detto, nella tabella sottostante sono indicati alcuni materiali significativi e i loro valori di conducibilità termica ⋋ a 20°C:

E’ fondamentale per i Vigili del Fuoco che l’aria secca abbia una conducibilità termica di 0.026⋋; infatti grazie ad essa, che andando ad interporsi tra i vari strati di tessuto degli indumenti da intervento ( DPI EN 469) indossati dai pompieri, questi riescono a sopportare temperature estreme. Stiamo parlando di pochi millimetri di spessore totale, ma che producono una differenza sostanziale in termini di temperatura percepita a livello cutaneo.

I problemi sorgono quando questo strato d’aria viene meno, per colpa di compressioni accidentali dei tessuti che vanno ad annullare la coibentazione data dall’aria che fa aderire gli indumenti caldi alla cute con il rischio di provocare ustioni o di limitare la permanenza del vigile nell’ambiente caldo. Per dimostrare l’importanza dell’aria come isolante termico, è stata condotta una prova mediante l’utilizzo di un termometro (con un indice di incertezza +/- 1C° x 100 C°) capace di monitorare contemporaneamente tre sonde indipendenti (gialla, rossa e blu), tutte situate alla medesima altezza, ma di cui la prima posizionata sulla giacca d’intervento a contatto con l’ambiente esterno, la seconda a contatto con la cute del vigile in un punto sopra il quale l’indumento d’intervento manteneva i corretti strati d’aria e una terza sonda posizionata anch’essa a contatto con la cute del vigile ma in un punto dove gli strati d’aria avevano subito una compressione e quindi gli strati d’aria risultavano inesistenti. L’ambiente dove è stata condotta la prova rappresentava un locale abitativo chiuso di area 7,5 m2 con un volume di 15,23 m3 e pareti metalliche, ove si aveva la presenza di un fuoco prodotto da 4 litri di benzina all’interno di una vaschetta rettagolare di volume 0,0224 m3, mente il vigile era posizionato ad una distanza di circa 1 metro dall’incendio, fermo ed eretto difronte ad esso.

Dal grafico sopra riportato (dove si indicano sull’asse delle Y le temperature registrate e sull’asse delle X i tempi di registrazione delle temperature) si può notare come la temperatura ambientale (sonda gialla), con il passare dei minuti, aumenti quasi linearmente e come invece le due sonde a contatto della cute rispondano allo stimolo esterno con differente andamento: la sonda blu, posizionata sotto un punto dove si aveva la presenza di corretti strati d’aria, registra una temperatura costante per l’intera durata della prova, attestandosi sui 36 C° con oscillazioni nell’arco di +/- 1,5 C°, la sonda rossa, posizionata nel punto con gli strati d’aria compromessi, mostra un andamento completamente diverso: infatti fin dalla prima rilevazione si nota una temperatura molto più alta rispetto alla sonda blu e con il passare del tempo la temperatura registrata sulla cute aumenta drasticamente e velocemente, seguendo l’incremento della temperatura ambientale (sonda gialla). Alcuni dati particolarmente significativi sono i valori registrati ai minuti 9:00 e 11:00 quando la temperatura ambientale (sonda gialla) presenta un aumento di pochi gradi passando da 116.2 C° a 119,6 C°, mentre la temperatura della sonda rossa riporta un netto innalzamento di temperatura passando da 67.4 C° a 82.8 C°. La sonda blu invece mantiene pressochè la stessa temperatura, intorno ai 35.6 C°, con il trascorrere del tempo; questi valori assumono ancora maggior rilevanza se ricordiamo che, a contatto con un corpo a circa 65° per pochi secondi, si possono produrre ustioni di secondo grado e da questo si comprende bene quanto sia essenziale non andare a compromettere l’integrità dell’aria presente negli indumenti d’intervento.

Dall’esperienza di alcuni colleghi, sono sorte interessanti osservazioni su come nell’ambito della interventistica reale si vadano ad utilizzare tecniche e attrezzature che per loro natura potrebbero ridurre l’aria tra gli stradi di tessuto dei DPI; quelle che suscitano più perplessità riguardano l’utilizzo degli autorespiratori e quello di colpi di protezione d’acqua frazionata sui vigili per quanto riguarda le tecniche di passaggio porta. Nel primo caso è reale che gli spallacci e la chiusura ventrale dell’autoprotettore vanno a comprimere i tessuti e quindi ad eliminare l’aria sottostante, ma lo spessore dell’imbottitura presente sugli stessi spallacci va a ricreare la protezione con il loro spessore e quindi la problematica si annulla.

Per quanto riguarda le tecniche di passaggio porta, le osservazioni sono ricadute sul fatto che l’acqua nebulizzata utilizzata come protezione ed erogata sopra gli elmi dei vigili, andrebbe ad inumidire gli indumenti, appesantendoli e aumentando il tasso d’umidità dell’aria interna agli stessi, con un incremento della sua conducibilità termica. In questo caso l’analisi è più complessa rispetto alla precedente sugli spallacci degli autoprotettori, ma va ricordato innazitutto che, con il termine “colpi di protezione”, si intendono due aperture di lancia, sopra la testa degli operatori, di acqua finemente nebulizzata (goccia con una dimensione di circa 0,3 mm), con la selezione di un cono di erogazione di circa 45°, una portata d’acqua di 100 lt/min e con una tempistica di apertura della lancia di circa 1 secondo. Tutto questo si traduce in un’erogazione totale di poco più di tre litri d’acqua che ha la caratteristica, essenziale, di rimanere in sospensione in aria al disopra dei vigili per molto tempo, facendo sì che l’acqua che realmente va ad impattare sui DPI d’intervento sia pochissima e che comunque tenda a permanere soltanto sul primo strato di tessuto senza penetrare attraverso esso.

Inoltre è doveroso ricordare che sia l’autoprotettore che le tecniche di passaggio porta, nel caso in cui si valuti la loro necessità, sono attrezzature e modalità indispensabili affinché il vigile possa entrare nel locale con presenza di fumo caldo o fiamme. Discorso diverso va fatto per tutte quelle azioni involontarie o dovute alla scarsa attenzione che vanno a ridurre “gratuitamente” gli strati d’aria dei DPI, se per esempio un vigile all’interno di un ambiente con temperature elevate per attirare l’attenzione di un suo collega, al posto di toccarlo su parti rigide quali elmo, bombola del APVR o stivali, lo colpisce su una manica o su una spalla rischia di provocargli ustioni. Un’ altra azione pericolosa “gratuita” che, fortunatamente si presenta sempre meno di frequente, è quella di bagnarsi o bagnare il collega quando ques’utlimo accusa caldo: questa pratica, come avrete già intuito, farà sì che l’acqua erogata in pressione sul vigile vada a comprimere i tessuti andando a ridurre o addirittura ad eliminare gli strati d’aria facendo venire a contatto con la cute i tessuti roventi del DPI. Inoltre è da evitare assolutamente anche l’idea di bagnare il collega, come azione preventiva, prima di accedere al locale invaso dalle fiamme o con presenza di calore, questa azione è estremamente deleteria in quanto: a fronte di una minima diminuizione della temperatura dei DPI indossati, si avrà un aumento esponenziale del calore quindi di energia calcolata in joule percepita dal vigile, che andrà a debilitarlo e a ridurre le sue possibilità d’intervento.

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